Post by 7Figo on Jun 18, 2007 15:08:35 GMT
Figo e Helen revelam-se com intimidade a revista italiana
Nada como um corpo esculpido à base de muito exercício. É isso que o craque Luís Figo, do Inter de Milão e da selecção portuguesa, mostra num ensaio fotográfico para a GQ italiana ao lado da sua mulher, a belíssima ex-modelo Helen. Em entrevista à revista, o jogador mostra todo seu amor pela esposa. De acordo com o texto da GQ "os seus olhos brilham" quando o assunto é Helen ou uma das suas três filhas. Durante a reportagem da revista, o jogador contou um pouco da sua história de vida, da sua vida familiar e da sua trajectória no futebol. "Não comecei no futebol, mas dediquei-me mais a ele por ser mais fácil para mim e por me dar mais satisfação pessoal", revelou o jogador.
Fotos
Video e Fotos
11 Maggio 2006
La supercoppia
di G. Bruschi, servizio di A.Tenerani, foto di I. Parravicini
La luce. C’è chi la accende, magari con un lancio smarcante, un cross, una finta. C’è chi ne sente la mancanza: della luce, appunto, e del mare. Luis Figo è tutto qui. Una finta, un sorriso, una luce (ancora…) che passa nei suoi occhi quando parla di sua moglie Helene o delle sue tre bambine. Oppure quando parla dell’Inter, che dovrà vincere prima o poi, anche se a Milano qualcosa di Lisbona, Barcellona e Madrid (in rigoroso ordine cronologico) gli manca. Ma è un percorso il suo, e quando viaggi non conta dove vai e quanto tempo occorre, ma che cosa trovi durante il viaggio. Il percorso di Luis Filipe Madeira Caeiro Figo è partito dall’Atlantico, un bimbetto magro con le gambe lunghe che è arrivato fino a Milano. Lo ripercorriamo insieme.
Che cosa ricorda dei primi passi del piccolo Luis?
Non sono partito con il calcio. Mi piacevano tutti gli sport. Poi, quando uno inizia, sceglie quello che gli dà più soddisfazione, che è più facile giocare con gli amici. Io ho iniziato in una squadra giovanile della mia città (Almada, 20 km da Lisbona ndr), ma quando avevo 11 anni ha chiuso. Allora per continuare ho dovuto spostarmi nel vivaio dello Sporting Lisbona. Ma era un viaggio: 30 minuti di pullman, il traghetto sul fiume, poi un altro pullman… non finiva più. Però quando sei piccolo e il tuo sogno è quello di giocare a calcio, lo sport più bello del mondo, fai qualsiasi sacrificio. Così viaggiavo per più di un’ora all’andata e più di un’ora al ritorno. Ma mi sono sempre divertito”.
E quando si è accorto che dal divertimento il calcio era diventato qualcosa di più importante?
Non ho mai smesso di divertirmi, se mi mancasse il divertimento vorrebbe dire che è arrivato il momento di smettere. Premesso questo, probabilmente quando ho vinto la coppa del Portogallo con lo Sporting. Erano tanti anni che non vincevamo nulla di importante… e da lì ho iniziato la mia vera carriera professionale, che…
Scusi se la interrompo, ma anche qui mi pare sia nella stessa situazione…
(Ride). Sì, è vero, ma l’Inter ha una storia molto più gloriosa dello Sporting. È vero che anche qui da molti anni non si vince nulla di importante, ma alla fine nello sport vince uno solo. Cercheremo di recuperare alla svelta.
Torniamo al piccolo Luis, che a questo punto è diventato un professionista pagato e rispettato: il gran salto è il Barcellona…
Un salto dal punto di vista professionale sì, ma Lisbona e Barcellona sono città molto simili. La luce, il mare, la gente… Poi in quegli anni i talenti del calcio portoghese andavano all’estero. Prima Futre, poi Rui Costa, l’anno dopo io… una bella generazione. A Barcellona mi sono trovato subito bene e ho trovato il grande Cruijff come allenatore, il massimo per me, che lo avevo sempre ammirato sul campo. È stata un’esperienza meravigliosa, forse la migliore. E lì oltre alle vittorie è arrivato anche il Pallone d’oro. A 27 anni un calciatore, che è al momento più alto della carriera, non può chiedere di più.
E lei ha pensato bene di andarsene: e addirittura a Madrid, come mettere sale su una ferita. Perché l’ha fatto?
La ricerca di nuovi stimoli, il fatto che la dirigenza del Barça non credeva che avessi una proposta dal Real, ma pensavano che invece tirassi sull’ingaggio. E d’altra parte non posso nemmeno biasimarli: là la rivalità tra Madrid e Barcellona non è solo calcistica, è culturale, politica, umorale, storica. Nessuno avrebbe potuto passare da una squadra all’altra. E invece…
Pentito?
No, anche perché passavo nella squadra probabilmente più famosa del mondo. Certo, lasciavo una città che amavo e degli amici veri: Guardiola, Luis Enrique, Nadal. Ma loro hanno capito: siamo rimasti amici. Quelli che non mi conoscevano, meno. E mi hanno tirato in campo la testa di maiale.
C’è qualcosa anche del calcio italiano che non le piace?
(Ride) Nulla, anche se succedono cose strane…
Non vogliamo parlare con lei delle divergenze di opinione con dirigenti di altre squadre...
Ma loro li conoscevo anche prima di venire qui... E poi siamo in un paese democratico. Uno parla, dice quello che pensa e tutto finisce lì.
Differenze particolari tra il calcio spagnolo e quello italiano?
Qui la cosa più importante è stata sempre la tattica. Si lavora molto su questo aspetto, si pensa alla partita e a come affrontarla anche durante la settimana. In Spagna si pensa soprattutto ad attaccare. Qui a un centrocampista o a una punta si chiede anche di difendere. Ecco, penso di essere migliorato soprattutto in questo aspetto, durante questa stagione. E penso di essermi adattato velocemente a questa necessità.
Lei è stato acquistato anche perché è un vincente: conta questo?
Anche per me era una sfida venire qui: e forse mi hanno cercato anche per portare questo tipo di mentalità. Ma per vincere nel presente, il passato non conta. Bisogna lavorare bene tutti i giorni, l’ultimo come e meglio del primo.
Sull’Inter ha sempre aleggiato la leggenda di avere uno spogliatoio anarchico e un po’ diviso...
Io posso solo dire che mi hanno accolto bene, mi hanno fatto sentire subito uno di loro e mi hanno aiutato ad adattarmi. Forse anche per il fatto che ci sono molti stranieri e che tutti si erano trovati prima nella mia stessa situazione. Ma tutto questo non importa: l’importante è avere un obiettivo comune. Poi anche se non si è tutti amici, basta il rispetto reciproco.
E ha scelto di abitare in città.
Ho sempre abitato in centro, anche a Barcellona e a Madrid. È una scelta per far sentire più a loro agio anche mia moglie e le bambine. Per loro cambiare è più difficile: all’inizio Martina ha avuto qualche problema con l’asilo, ma ora va tutto bene. E la gente non è invadente, ma ci ha sempre dimostrato un grande affetto.
Quindi è contento di essere venuto?
Sì, a Madrid non avevano fiducia in me, qui ce l’hanno eccome. A pensarci, mi manca solo una cosa a Milano: fino a poche settimane fa, alle 7,30 era ancora buio, alle 4 del pomeriggio era già buio. Ma la luce qui da voi non c’è mai?.
Con Figo un po’ più di luce a San Siro adesso c’è…
Guarda il servizio su GQ (maggio 2006, n. 80).
gq.msn.it/cont/080sgq/081art/0605/1100/#skip